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27 gennaio 2022: Il giorno della memoria e Gino Bartali

1953, GIRO D’ITALIA, MODENA, 11 TAPPA CRONOMETRO VINTA DA COPPI, SECONDO DELLA FILA GINO BARTALI CHE INDOSSA LA MAGLIA DI CAMPIONE D’ITALIA, CICLISMO, ANNI 50, B/N +, 03-00027653

Oggi è il Giorno della Memoria, giornata in cui si ricordano non solo le vittime di religione ebraica della Shoah ma anche tutte le vittime della follia Nazi-fascista.

In questa giornata mi piace ricordare la figura di Gino Bartali riportando le parole usate dal museo dello Yad Vashem nella pagina dedicata a lui.

Ginettaccio, (Ponte a Ema, 18 luglio 1914 – Firenze, 5 maggio 2000) come penso tutti gli italiani sappiano, ha vinto tre volte il Giro d’Italia (nel 1936, 1937 e 1946) e due volte il Tour de France (nel 1938 e 1948). Grazie ai suoi notevoli successi sportivi, divenne un eroe nazionale molto popolare e ampiamente ammirato sin dal periodo interbellico.

Finita la guerra, con Fausto Coppi, diede vita ad una rivalità consegnata alle leggende sportive del nostro paese.

Bartali era un devoto cattolico. Secondo suo figlio, Andrea Bartali, l’arcivescovo Elia Angelo Dalla Costa (riconosciuto Giusto tra le nazioni nel 2012) aveva sposato i suoi genitori e mantenuto uno stretto legame con il padre.

Di conseguenza, in seguito all’occupazione tedesca dell’Italia nel settembre 1943, Bartali, che aveva scelto di essere un corriere della resistenza, giunse a svolgere un ruolo importante nel salvataggio degli ebrei attraverso la rete avviata dal rabbino Nathan Cassuto a cui si unì poi Dalla Costa.

Bartali, infatti, grazie al fatto che, come grande campione, poteva coprire grandi distanze con la sua bicicletta in allenamento, trasferì documenti falsi da un luogo all’altro. La sua attività abbracciava una vasta area tra l’altro distribuendo documenti falsi prodotti dalla cd. rete di Assisi, un’altra operazione di salvataggio avviata dal popolo della Chiesa in quella città.

In diverse occasioni, fermato e perquisito, chiese espressamente che la sua bicicletta non venisse toccata poiché le diverse parti erano calibrate con molta attenzione per raggiungere la massima velocità ottenendo ovviamente il consenso di chi lo controllava per via della sua fama.

Giulia Baquis ha raccontato allo Yad Vashem che durante l’occupazione tedesca si era nascosta con la sua famiglia a casa di due sorelle a Lido di Camaiore in Toscana. Un giorno un ciclista arrivò alla porta con un pacco e chiese informazioni sulla sua famiglia. La sorella maggiore era assente, e l’altra, temendo che lo straniero fosse un collaborazionista, negò ogni conoscenza della famiglia di Baquis. Il corriere partì senza consegnare il pacco.

Dopo la liberazione il membro della resistenza che aveva sistemato per loro il nascondiglio disse ai genitori di Baquis che il messaggero era Gino Bartali.

Un altro testimone, Renzo Ventura, ha sentito sua madre, Marcella Frankenthal-Ventura, dire che lei, i suoi genitori e la sorella avevano ricevuto documenti falsi che erano stati portati loro da Bartali per conto della rete Dalla Costa.

La famiglia Goldenberg aveva conosciuto Gino Bartali nel 1941 a Fiesole. Shlomo Goldenberg-Paz, che all’epoca aveva 9 anni, disse a Yad Vashem di ricordare un incontro con Bartali e il suo parente Armando Sizzi. I due si sedettero con il padre di Shlomo ed ebbero “una discussione da adulti”.

Shlomo ricordava bene l’evento perché il celebre ciclista gli aveva regalato una bicicletta e una foto con dedica, che Goldbenberg-Paz conservò sempre. Nel 1941 la conversazione con Bartali non avrebbe potuto trattare di carte illegali, ma l’incontro con il suo eroe d’infanzia si è inciso nella memoria di Goldenberg.

Quando in seguito all’occupazione tedesca nel 1943 i Goldenberg furono costretti a nascondersi , Shlomo fu prima mandato in convento, ma poi raggiunse i suoi genitori che si nascondevano in un appartamento a Firenze di proprietà dei Bartali.

L’appartamento era occupato da Armando Sizzi, ma Goldenberg raccontò a Yad Vashem che i suoi genitori, dopo la guerra, gli avevano raccontato che, per tutto quel tempo, Bartali li aveva aiutati e sostenuti. Anche il cugino di Goldenberg, Aurelio Klein, fuggì a Firenze perché aveva sentito che si potevano ottenere carte contraffatte. Rimase nell’appartamento della famiglia Goldenberg per un breve periodo, poi fuggì in Svizzera con l’aiuto di documenti falsi.

Klein disse a Yad Vashem che la madre di Shlomo Goldenberg aveva ricevuto documenti falsi da Bartali e che era l’unica in famiglia ad aver osato mettere piede fuori dall’appartamento e fare shopping.

Dopo la guerra Bartali non parlò mai del suo lavoro clandestino durante l’occupazione tedesca, quindi molti dei suoi sforzi coraggiosi rimangono sconosciuti.

Sara Corcos, che lavorava per il CDEC (Centro di Documentazione Ebraica Contemporanea) di Milano, ha raccontato a sua nipote, Shoshan Evron, figlia del rabbino Nathan Cassuto, di aver conosciuto Gino Bartali dopo la guerra.

Ginettaccio rifiutò categoricamente di essere intervistato, e disse che era stato motivato dalla sua coscienza e che quindi non voleva che la sua attività fosse documentata.

Solo quando Corcos gli disse di essere imparentata con la famiglia del rabbino Cassuto, Bartali, profondamente commosso, accettò di parlare, a condizione che non lo registrasse. Nella conversazione che seguì, Bartali parlò a Corcos dei documenti falsi e del suo ruolo nella loro distribuzione.

Nel 2013 è stato dichiarato Giusto tra le nazioni.

Per chi avesse voglia di un breve riassunto suggerisco questo video su Raiplay:

https://www.raiplay.it/video/2021/01/Giorno-della-Memoria-L-eroe-Gino-Bartali-Giusto-tra-le-nazioni-bc223e93-708d-4b6b-aa22-907f40b227a3.html

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