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Recensioni

I ponti della delizia di Guido Cervo

Copertina-de-I-ponti-della-Delizia-Piemme-2009

Autore Guido Cervo

EDITORE
Casa editrice Piemme

Ho finito di leggere il romanzo “I ponti della delizia” di Guido Cervo.
Si tratta a mio parere di un bellissimo romanzo storico, scritto con uno stile pano e  piacevole ma con una ricerca storica di ottimo livello.
La storia inizia in una trincea italiana sul fronte di Caporetto si abbatte terribile  l’offensiva austro-ungarica. Il nemico che gli italiani avevano creduto sfiancato, si è ripreso e ora, complice pioggia e nebbia, cala su truppe infreddolite, demotivate e stanche. Impreparate a tanta potenza di fuoco. C’è una babele di dialetti nelle trincee, uomini che maledicono, danno ordini, pregano, e spesso neanche si capiscono tra loro. Per prendere Trento e Trieste hanno mandato a morire molta più gente di quanta ne viva là, osserva il soldato Santini, il socialista della brigata. E poi, avranno voglia quelli di essere liberati? Ma non importa, i generali hanno deciso così, e ormai è lì, immerso nel fango, con le bombe che gli esplodono tutt’intorno, la vita in bilico, legata alla traiettoria di una pallottola. In poche ore lui e i suoi compagni si trovano in fuga, non si parla più di sconfitta ma di disfatta. I “tugnit” avanzano. I soldati allo sbando invadono città e paesi ormai quasi deserti, razziano, devastano, dei civili chi può si da alla borsa nera, gli altri se ne vanno, lasciando tutto. Per sfuggire ai carabinieri, che nel caos tiranneggiano e si lasciano anche andare alla ferocia, Santini e il sergente Tarcisio, intervenuto a difenderlo, si arruolano negli arditi, quelli che si rifiutano di dare le spalle al nemico e gli vanno invece incontro a testa alta.

Credo sia una delle opere più belle di Guido Cervo non solo per il modo in cui viene affrontata la disfatta di Caporetto ma anche anche per lo stile e il paziente lavoro di ricerca che si intravede nel romanzo. La grande storia fa da sfondo alle piccole storie di Erminia, di Tarcisio, della piccola Anita e di tutti gli altri uomini e donne disperati in fuga verso i ponti della Delizia.
Anche lo stile è particolare: la scelta di far parlare i persoanggi nel loro dialetto d’origine tradisce la volontà di rendere più chiaro cosa siginificasse la difficoltà di comprensione tra italiani stessi. Con questo tocco di verismo, l’utore spinge a riflettere sulla “necessità” di una guerra non voluta dalla popolazione, ma subìta e di cui l’Italia finge di non accorgersene fino alla tragedia di Caporetto.
Da leggere assolutamente.

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